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Campania e Veneto con scuole da regionalizzare, secondo il partito pensionati

Napoli, 7 Ottobre – Campania e Veneto hanno 10,7 milioni di persone (5,8 la prima e 4,9 la seconda) interessate alle scuole sul loro territorio e si chiedono se è un bene regionalizzarle e come farlo. Tra le due regioni però ci sono forse più differenze che analogie da ribadire. Le differenze sono causate da diversità storico-economiche e sociali-comportamentali. La Campania ha ereditato dai Borboni, che erano nobili spagnoli, un’amministrazione paternalistica con baroni e duchi fino alla periferie recondite e lontane dalla brillante ed europea capitale partenopea. La regione ha una parte pianeggiante fertile e con primati agricoli notevoli, ma l’economia è debole poichè inficiata da fenomeni camorristici come la “Terra dei Fuochi”, ecc., che la condizionano troppo.

 Le carte geografiche, dal 1500 al 1700, riportano l’indicazione Terra Laboris olim Campania felix. La Regione è a 40 gradi latitudine nord, mentre il Veneto è a 45 gradi e dista dalla prima 700 km. Se la Campania non ha avuto un suo Stato con governanti indigeni, il Veneto li ha avuti con 120 Dogi quasi tutti illuminati, tolleranti (anche proteggendo i propri docenti dall’Inquisizione) e produttivi. Il popolo del Veneto dunque ha ereditato positivamente, non poco, di quell’amministrazione efficiente sorta a Venezia con l’oligarchia Repubblica Marinara: seminobiliare poiché alcuni erano mercanti arricchitisi come dimostrato dalle statue in Prato della Valle a Padova. In Veneto dunque (dalla fine dell’impero romano d’occidente, la Serenissima è durata fino all’arrivo di Napoleone poi gli Asburgo fino al 1866) c’è ancora un’amministrazione pubblica efficiente con una popolazione laboriosa e dall’onestà diffusa. A ulteriore rinforzo virtuoso bisogna considerare l’attivismo della Dottrina sociale della Chiesa con patronati laboriosi. Il Veneto è terra di papi con l’attuale vice o Segretario di Stato Vaticano, il vicentino card. P. Parolin. Nei 563 comuni del Veneto attuale il bilancio è positivo, né ci sono infiltrazioni mafiose in seno ai consigli comunali fino a 2 anni fa.

 In Campania le dominazioni straniere dei Normanni e Aragonesi prima e dei Borboni poi, hanno plasmato un’amministrazione spesso sibillina e popolo abituato a chiedere favori a chi ha il potere di farli (piccola borghesia spesso parassitaria e collusa). L’amministrazione ed il popolo sono, ancora, a maggioranza, disordinati, svogliati sia pure in proporzione diretta alla distanza dalla capitale. Nel territorio del Sannio casertano, beneventano e avellinese tutti i difetti citati sono molto ridotti rispetto agli oltre 4 mln di residenti della provincia di Napoli e del popolato territorio salernitano. Nell’ambiente sociale del territorio tra Napoli e Caserta, le catene truffaldine, sono diffuse ovunque e la pubblica amministrazione è spesso inficiata dalla presenza camorristica per appalti pilotati come dei rifiuti, come evidenziano spesso i media. Napoli e dintorni però pur essendo un territorio problematico (con alto abbandono scolastico, densità elevata, economia assistita), produce le vette amministrative e politiche in presidenze della repubblica, in banca europea e d’Italia nonchè la presidenza confindustriale. Non a caso si dice che la Campania è un nano economico ed un gigante politico, viceversa per il Veneto.

 

A sentire l’attuale governatore campano anche la discussa regionalizzazione delle 23 materie costituzionali, non costituisce particolare problema, come evidenziano i governatori di altre regioni meridionali. Ma leggiamo cosa dice in merito il politico del Pd:“Ci sono tutte le condizioni per contribuire allo sforzo unitario che chiede Boccia, anche con Veneto e Lombardia alle quali spiegheremo che se ci addentriamo in sconvolgimenti costituzionali perdiamo solo tempo. Se invece ipotizziamo soluzioni amministrative e istituzionali ragionevoli credo che potremo fare un lavoro unitario con le altre regioni per una autonomia differenziata che abbia sullo sfondo una cornice nazionale all’interno della quale ognuno potrà poi operare secondo le proprie esigenze”. Così, il governatore campano V. De Luca, risponde alla richiesta di un patto Nord-Sud avanzato dal ministro per gli Affari Regionali F. Boccia per un nuovo modello di autonomia differenziata a margine dell’incontro avuto oggi in Regione Campania. Sulla riforma De Luca ha rivendicato la scelta della Campania “di aprire un ragionamento a febbraio alla vigilia della stipula dell’accordo sulla base della bozza Bressa”. “Abbiamo evitato – ha sottolineato – di fare corse a vuoto, partiamo da un presupposto che non e’ quello leghista, per noi resta l’ispirazione profondamente unitaria, non alimenteremo mai un conflitto tra Nord e Sud, rivendicheremo con orgoglio le ragioni del Sud ma rappresentando il Sud che non teme la sfida dell’efficienza, che rifiuta le logiche di clientela e assistenzialismo e che vuole veder valorizzato il merito.  Da Boccia oggi è arrivata una proposta che è una svolta radicale”.

Subito dunque si nota la sintonia verbale tra due campani, Boccia e De Luca, a differenti vertici di ambienti socioeconomici. Per la scuola campana una regionalizzazione alla veneta, proposta dal governatore L. Zaia, sarebbe deleteria ancora più del Veneto poiché porrebbe il personale scolastico quasi subordinato ai politici regionali e delle maggioranze partitiche. Finirebbe così l’attuale imparzialità nella scuola, che Roma garantisce sia pure in un’imperante burocrazia e con soppressione di elementari diritti dell’utenza nell’avere il servizio di più elevata qualità come la scelta del docente e della scuola libera regionale. In Campania lo scorso anno scolastico si sono registrati 879.561 discenti in 44.301 classi e 27.581 con disabili. Le regioni del Sud sono fanalino di coda in crescita demografica «Purtroppo sono dati fisiologici» commenta il direttore dell’Ufficio scolastico regionale campano, Luisa Franzese. «Il calo delle nascite non è compensato da quello che avviene nelle famiglie degli immigrati. Tra 5-8 anni nelle superiori avremo intere scuole praticamente vuote per l’onda d’urto che si creerà».

A questi dati vanno poi aggiunti il 15-20% di dispersione e abbandono scolastico in tutta la regione. Cioè stiamo parlando di almeno 150mila ragazzi che lasciano la scuola dell’obbligo prima della scadenza, una piaga che si ripercuote sull’assetto socio economico del Meridione e di Napoli in particolare. Nelle classi della Campania vi sono1.212 ragazzi disabili in più rispetto allo scorso anno. Altro dato significativo è la crisi delle scuole paritarie, rispetto al 2015/16 il numero è diminuito di 415 unità a livello nazionale, per un decremento complessivo del 3.2 %, mentre nello stesso periodo le scuole statali sono aumentate di 92 unità. Nell’ultimo biennio hanno chiuso i battenti le paritarie concentrate soprattutto nel Mezzogiorno, con la Campania seconda dietro la Sicilia, con 70 chiusure. Il settore delle paritarie dell’infanzia registrano il maggior numero di scuole chiuse. Erano infatti 9.485 nel 2015/16 e sono diventate 9.193 quest’anno: il decremento è stato di 292 scuole chiuse di cui 58 in Campania.

Nella scuola media superiore quest’anno in Campania gli studenti sono 315.284 distinti in 162.990 liceali 85.567 tecnici e 66.727 e 41.931 istituti professionali. La scuola del Veneto ha 594.915 discenti con 28.165 16.962 disabili e con un personale docente e non di quasi 70 mila persone. Nella scuola media superiore quest’anno in Veneto i discenti sono 203.908 distinti in liceali (85.144), tecnici ( 76.833 41.931) e 41.931 professionali. Solo questi ultimi pare che il governo, Conte 1 e 2, sia stato e sia ancora disposto a regionalizzare. Prima della crisi economica iniziata nel 2008, il Veneto aveva il primato nazionale della frequenza di scuole non statali, oltre il 17%. Esse, attualmente, sono in calo per l’aumento dei costi e per la crisi delle vocazioni religiose cattoliche. L’Italia spende, per il sistema istruzione pubblica, ben 50 miliardi annui. I politici, soprattutto settentrionali, inseguono il “moderno mito” dei costi standard e dei livelli minimi essenziali del servizio sanitario e scolastico, non riconoscendo bene le specificità socioeconomiche regionali. L’Istat informa cheGli studenti che siedono tra i banchi nelle scuole italiane sono 7.599.259 della scuola statale, mentre 866.805 sono gli alunni degli istituti paritari. Di questi ultimi 7 su 10 frequentano la scuola dell’infanzia. I discenti con cittadinanza straniera in Campania sono 25.810 distinti in 4.277 scuole dell’infanzia, 8.526 primaria, 5.615 media e 7.392 media superiore. In Veneto i discenti stranieri sono 84.230 e ciò per l’economia migliore con un tasso di disoccupazione un quarto di quello campano. In Veneto gli studenti stranieri frequentano in 9.789 le scuole dell’infanzia, 35.970 le primarie, 20.731 le medie e 17.740 le scuole medie superiori. Il personale docente normale e di sostegno in Italia è di 822.723 unità distinte in 681.311 docenti su posti comuni e 141.412 e posti di sostegno. In Campania e in Veneto sono rispettivamente: 93.584 (78.467 e 15.117) e 60.871 (52.056 e 8.815). Frequentano le scuole non statali in Campania 92.324 discenti e in Veneto 107.225. E’ questo l’identikit statistico della scuola italiana che emerge dal Focus del Miur. Se il nostro Paese spende 50 miliardi annui per il servizio istruzione pubblica, in Veneto ne spende meno in proporzione  ai suoi quasi 600mila utenti e non paga oltre il 10% di scuole libere. Si, il Veneto è più parsimonioso della Campania sprecona e con un sistema scolastico e soprattutto sanitario di buona qualità a Padova come a Rovigo e Belluno.

 In Campania, invece, le disfunzioni e l’inefficienze sono generalizzati a Napoli come nel Sannio pentro, caudino ed irpino. 1.654.680 universitari frequentanti le università italiane, le università campane ne attirano 245mila, nel Veneto 105 mila. Vi sono meno iscritti in Veneto perché molti vanno a lavorare con il diploma professionale e tecnico (fino allo scorso anno il Veneto aveva il primato di iscritti agli istituti tecnici e non ai licei). Nonostante ciò all’Università di Padova, quest’anno si sono immatricolati 8mila in più superando i 61mila iscritti dello scorso anno. Il nostro partito pensa, tramite me esperto di scuola anche all’estero, che il servizio d’istruzione regionale in Veneto debba aumentare la presenza di scuole libere con incentivi regionali alle famiglie che fanno questa scelta, se il loro reddito è basso, ma definito dalla R. Veneto. Alle scuole libere, ma anche alle scuole statali il discente che le sceglie deve poter indicare il nome del docente disciplinare, al quale verrà aumentato lo stipendio solo se meritato a giudizio soprattutto dell’utenza. Ritiene errata la riforma proposta da L. Zaia e la ex ministro degli Affari Reg. E. Stefani, di far aumentare lo stipendio a tutti i docenti ed Ata solo per regionalizzarli. Tale politica è populista e non risolve, anzi aggrava la qualità del servizio per possibili interferenze politiche nelle nomine del personale.

 Le tangenti in Veneto sono più pesanti di quelle campane (vedere il Mose con il governatore Galan, l’assessore Ghisso, l’Ing. Mazzacurati, ecc. e una delle banche del territorio vicentino). Anche la scuola statale veneta, come nelle altre 19 regioni, soffre di scaricabarile di responsabilità, di imperante anonimato con sofferenza dell’utenza. Un esempio eclatante è dato dallo studente maggiorenne padovano con febbre alta, che, di recente, in una scuola cittadina, s è visto rifiutare il permesso di uscita per andare a curarsi. Tutto il sistema d’istruzione italiana soffre di statalismo che tratta ancora il cittadino come suddito senza diritti basilari. La scelta del docente nonché del dirigente da parte dell’utenza non è utopia, ma è modernità che solo una democrazia matura può applicare perché vuole governare il cittadino e non il suddito di suo maestà la burocrazia e l’anonimato. I partiti attuali, purtroppo, pare che non abbiano a cuore la scuola, ma le poltrone che hanno in regione, parlamento, provincia, comune, anche per il fatto che molti politici eletti hanno fatto solo politica e non sono andati a lavorare, né a scuola.

Giuseppe Pace

 

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